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La speranza della green economy per il 2009

di Marco Magrini

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24 Dicembre 2008

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La strada è in salita, ma non siamo sul fondo della valle. In questi dieci anni di dibattito politico sul climate change, la scienza e la tecnologia - sospinte dai capitali privati e dagli incentivi pubblici - hanno già fatto passi da gigante. Per dirla con la battuta che dava il titolo al primo film di Massimo Troisi: «No, da zero no. Ricomincio da tre». In effetti, per capire il problema, bisogna dare un po' di numeri. Oggi, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è di 385 parti per milione (ppm). Secondo il consenso degli scienziati, non bisogna superare le 450 ppm se vogliamo evitare che la temperatura media cresca di oltre due gradi dall'era pre-industriale (è già salita di 0,7). Ma c'è chi dice che i due gradi sono già inevitabili e che dovremmo puntare a 350 ppm. L'Unione Europea s'è data un obiettivo di medio termine, il 2020, per avere il 20% di rinnovabili, un 20% di efficienza in più e un 20% di emissioni in meno. Ma intanto ci sono Stati membri, come l'Irlanda, che giurano di puntare al 40% di rinnovabili entro 12 anni. Obama, gettando il cuore oltre i suoi due possibili mandati presidenziali, proclama un taglio delle emissioni dell'80% entro il 2050.

Peccato che si tratti di un bersaglio in movimento. Secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia, a metà secolo il mondo avrà bisogno di 14,3 milioni di tonnellate di petrolio o equivalenti, contro gli attuali 11,7. «Il basso prezzo del petrolio - commenta il direttore Nobuo Tanaka - sta rallentando gli investimenti nei giacimenti petroliferi con il risultato che, quando i consumi riprenderanno a volare, avremo prezzi alle stelle e possibili problemi con gli approvvigionamenti». Tanaka stesso, il guardiano degli interessi petroliferi dell'Occidente, chiede ai Governi di buttarsi sulle rinnovabili, in nome della sicurezza climatica ed energetica. Il guaio è che, col prezzo del barile precipitato a 40 dollari, sono rallentati anche gli investimenti sulle nuove energie.

Siamo ancora solo all'inizio della salita ma, da quest'altezza, si possono già vedere i vantaggi in prospettiva: se Danimarca e Germania hanno le imprese leader nell'eolico e nel solare, è solo perché l'hanno deciso oltre dieci anni fa. L'ottimismo del fare sembra avere la meglio sul pessimismo del non-fare. Nel 2009, complice la redenzione del primo inquinatore del mondo, comincia - chissà quanto speditamente - il cammino planetario verso l'economia a bassa intensità di carbonio. L'utopia di Earthship resterà lì, nel deserto, a disegnare silenziosa i confini del possibile. Ci vorrà un po' di tempo. Ma è assai facile che verranno superati.

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